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Vacuità eterna
Posted in vuoti on novembre 14, 2008 by aliventoLa mia attività in parola poetica, il nome Alivento ed ogni altra cosa ad esso legata si spengono qui.
Chiedo scusa a Claudio di Scalzo, ad Antonella Pizzo, allo Staff di Ibridamenti, ad Erminia Passannanti per l’abbandono rispettivamente delle rubriche “In versi d’amore” e “Discorso amoroso“, “Senza meta“, “Voglia di Poesia“, e del filone di immagini “Forme” che avrei tanto voluto sviluppare per Erodiade.
Chiedo perdono ai miei amici, a coloro che nel loro cuore si sono sentiti miei amici senza che io neanche lo sapessi, a chiunque per qualunque ragione possa provare delusione, dispiacere, rammarico a causa di questa mia decisione. Sono serena per gli indifferenti e per coloro che forse la desideravano. Per me inspiegabilmente. Eppure avendo percepito anche questo, mi rallegro per loro. Per non aver alcun desiderio di resistere verso, per una scelta d’intuito che è questo il tempo giusto, è giunto il mio tempo di finire. Semplicemente. Non desidero andare avanti, desidero invece dare sostanza ancora una volta alla mia scelta d’inconsistenza. Tornare al luogo da cui sono nata, come un fiume nell’alveo e poi alle origini del suo ghiacciaio. Tornare per passi indietro nell’ombra, dove mi (ri)trovo. Lì dov’ero quando sono arrivata. Pagliuzza nella sabbia, polvere di seme che il vento ha seminato.
Cardioluce
Posted in forme, lucigrafie, virtu-ali with tags Alivento, immagini on novembre 13, 2008 by aliventoPioggia di parole
Posted in voli, vuoti with tags Alivento, racconti on novembre 10, 2008 by aliventoQuando comincia una storia? In genere dall’inizio. A volte, però, è la fine di una storia che ne fa cominciare un’altra. Così ci sono due categorie di storie, quelle che cominciano dall’inizio e quelle che cominciano dalla fine. Ci sono due categorie di donne, quelle che raccontano la loro storia e quelle che non la raccontano, poi ce n’è una terza, quelle che non la raccontano giusta.
La signorina a colori non ne raccontava mai. Né giuste, né storte, non dall’inizio e neppure dalla fine. Era lei stessa una storia ed insieme tutte le storie.
Aveva due labbra sottili e ben strette dentro a custodire segreti. Nel cuore teneva una rosa, un’altra sul tavolino in un vaso bianco d’opalina. Tutti i giorni sedeva al tavolino, fuori dal bar “Portofino”, quello a tre luci sulla piazza, dove fanno i gelati buoni. La signorina a colori stava col suo cappotto nero di nerofumo avvitato sui fianchi, in testa un cappello color rosa ciclamino sul quale s’adagiava leggiadro un mazzetto di fiori pastello: delizioso. Portava la veletta sul viso, al collo una sciarpa in chiffon di un rosso vaporoso. Con un trucco pesante e il viso bianco di neve certi giorni sembrava un clown. La chiamavano signorina a colori per questo, per il suo aspetto ed anche per il nome: Adelina Millefiori, così adatto a far rima in filastrocche bizzarre.
“La signorina millefiori
ha il naso di mille colori.”
“Adelina Millefiori
fuori dal mondo
sogna a colori”
Cantilenavano a volte i bimbi più impertinenti. E fuori lo era davvero. Di testa. Un po’ santa, un po’ matta. Eppure mai nome fu più indicato per il buon profumo che lei emanava: di gelsomino e mughetto, muschio bianco e bergamotto. Né lei si scomponeva per quelle burle, anzi ne sorrideva tranquilla e tutti i giorni la si trovava seduta al quel tavolino che sembrava aspettasse qualcosa.
Si diceva che aspettasse la rosa, il suo sfiorire. E la rosa, misteriosamente sempre la stessa, sfioriva, ma pian piano lentissimamente. Per ogni petalo che cadeva un suo capello s’imbiancava. In ogni caso non aspettava invano la signorina, prima o poi ogni giorno qualcuno si avvicinava al suo tavolino, le diceva: “Buon Giorno signorina a colori!”, si sedeva, cominciava parlando del niente poi, a voce bassa, le raccontava tutto quello che aveva nel cuore e lei, gli occhi grandissimi, ascoltava annuendo. Non che parlasse, anzi taceva con un vago sussiego, ma l’attenzione che metteva nell’ascolto, le pupille dilatate e profonde, la bocca allungata come a succhiare ogni parola, ne facevano una confidente eccezionale. E poi era bravissima a non dare consigli e a tenere la bocca chiusa: perché le persone la soluzione la trovavano da soli, solo parlando con lei, per il solo fatto di sentirsi ascoltati. Snodavano i fili del loro garbuglio, ordinavano idee confuse, addolcivano amarezze, dipanavano dubbi, stemperavano paure. A poco a poco mettevano a fuoco emergendo dal buio alla luce. Alla fine, vuotato il sacco, s’alzavano come dal confessionale. Sollevati e sereni. Come l’amavano in quel momento i suoi paesani.
La signorina a colori insomma era voluta bene da tutti, eppure non la raccontava giusta perché adorava sentirle raccontare dagli altri: giuste, storte, dall’inizio alla fine e dalla fine all’inizio. Le storie, si sa, non hanno mai fine perché spesso dove ne finisce una ne comincia un’altra.
Ma la signorina a colori soprattutto non la raccontava giusta per quello che nessuno sapeva. Lei, quando non stava in piazza seduta al tavolino, tornava alla casa in cima alla collina e scriveva e scriveva, metteva giù tutte le storie sentite dall’inizio alla fine e dalla fine all’inizio, e poiché le storie si inanellano tutte, aveva formato un catena lunghissima di storie che s’avvolgeva attorno ad un gomitolo. Teneva il gomitolo in un cesto e con i ferri da lana faceva maglie di storie, gonne di storie e sciarpe di storie. Le stesse con cui si vestiva. Con altre storie faceva farina. Con la farina ciambelle, il pane, la pasta. Le cose di cui si nutriva. La signorina a colori viveva di storie.
Poi il giorno dopo tornava al tavolino e ricominciava ad ascoltare.
E questo avvenne per anni, a cominciare da un tempo che nessuno ricordava fino al giorno in cui, una sera, tornata a casa, la signorina a colori volle scrivere le storie sulla carta e con quella tappezzare le pareti della casa. Fu un lavoro faticoso, ma l’opera finita fu una gran soddisfazione. Adelina stava lì al centro della casa a contemplare tutte le storie in bella esposizione, quando, dopo appena pochi minuti, le storie incollate alla carta da parati cominciarono a staccarsi, a svolazzare per la casa, le si addossarono volteggiando, come attratte dalla sua persona, le ruotarono attorno sollevando la gonna, strappandole il cappellino rosa, il mazzolino, la sciarpa, la maglia e pure la veletta. Tutte le storie come farfalle le mulinavano intorno e lei, sorridendo, alzò le braccia come a volare dentro quel vento fatto di segni, ad immergesi in esso, allora anche il suo corpo, polpa di storie, prese a sfaldarsi, prima a piccoli pezzi, schizzi di colore che si aggiungevano al turbine, poi allungandosi in una scia di parole, lettere, vocali, consonanti che, curvando, si disposero a spirale. Tutto a girare in un vortice folle sempre più rapido in forte tensione verticale, fino a quando le storie, nel parossismo rotatorio, come un tornado sfondarono il tetto, raggiunsero il cielo ed esplosero a raggio senza rumore.
Le storie piovvero per tre giorni sui tetti e le strade del paese. Quelle dei figli, quelle dei padri, le storie del cielo e quelle dei prati. La gente capì ch’era la fine di quella storia. Una folla senza parole si riunì in piazza davanti al bar “Portofino”. Cadevano gli ultimi petali dal cuore della rosa sul tavolino.
Long life to Barak Obama
Posted in percorsi with tags elezioni americane, obama, we can on novembre 5, 2008 by aliventoTratto da qui
Carezza
Posted in binari, percorsi, voli with tags Enrico Cerquiglini on novembre 5, 2008 by aliventoCerte volte la voce arriva, come una carezza, a lenire l’ipertrofico io. E poi in certi momenti, come una foto d’altri tempi si torna a cercarne la luce perchè scriva ancora nel vuoto una carezza. Una certezza?
Non ho mai riportato qui queste poche righe di Enrico Cerquiglini. Stasera ne avevo nostalgia, volevo rileggerle e le ho cercate sul blog Oboesommerso. Era l’11 novembre 2007, ormai quasi un anno fa. Parlano della mia poesia. Di alcuni testi che lì su oboe erano proposti in ascolto per lettura. E dice:
” I versi di Alivento mi riportano a musiche estremamente curate che si situano in una poesia che dal simbolismo francese arriva a noi tramite il genio giocoso palazzeschiano e l’angoscia contemporanea di Caproni. Alivento sa giostrare i suoni in modo decisamente orchestrato ma sa anche renderli significati, la musicalità si lega, spesso in modo sorprendente, al senso che essa stessa definisce di “attesa”, beckettiana aggiungo io e presentita come vana. La poesia stessa, tutta umana, legata alle “cose”, riconosce i suoi limiti: è umana ed è umanamente sconfitta, destinata a rendere dello strazio del presente le innumerevoli aporie, le cadute, il vischioso sopravvivere.
L’attesa, la constatazione di uno scacco reale e in potenza, necessitano di un referente e l’altro si rappresenta come interlocutore tacito, come spalla ma anche come auspicabile divenire, come speranza di uscita da una solitudine esistenziale che posiziona l’umano in un territorio dissacrato e sacro.
Una bella sorpresa Ali, come tutti ti chiamano.Enrico “
Grazie. Ali
Commento
Posted in binari on novembre 1, 2008 by aliventoNella rubrica che curo su Ibridamenti: “Voglia di poesia” ho appena pubblicato un commento ad una poesia di Maria Marchesi. Da leggere. La poesia. Se volete, pure il mio commento.
La corsa a ostacoli
Posted in binari, percorsi, voli, vuoti on ottobre 31, 2008 by alivento
Che strana la
tua prima mano
quando per rispetto
mi lasciasti fuori da ogni
fermento operativo
oggi che ritorna nella stanza
il tuo amato nome
nel ti ricordi come
glissare la recrudescenza
dominante
di rabbia incantatrice
non si scompone
l’astuta donna a coppe
date a bere ai potenti del potere
pregna larva impopolare
tronfia nell’isolamento
del comando
stagna indifferenza
del non ci sai fare.
…(inverecondo)
Posted in vuoti on ottobre 23, 2008 by alivento
Lì per lì eravamo
appena per finire
un dito un tasto
il click del non sarei più stata
sempre e per sempre
adesso è per sparire.
Le ali il vento la neve
meravigliosamente…
tu bagnato dentro
altri corpi di carne
da spegnersi accendersi.
Dolcissimo fiore della lontananza
sguai(n)ato per identità segrete
immerse nella rete
Così perfetta è la maglia
intreccia le ore di un istante
immenso al nulla eterno
e sabbia.